Premio nobel a roma - come le cellule percepiscono e si adattano alla disponibilità di ossigeno
«Una cosa di cui non è possibile fare a meno è l’ossigeno. Il mio laboratorio ha lavorato trent’anni anni per comprendere come reagisce il corpo quando percepisce i cambiamenti della quantità di ossigeno…».
A parlare così è il dott. Gregg L. Semenza, professore di Genetica alla “John Hopkins School of Medicine” di Baltimora (USA), vincitore del Premio Nobel 2019 per la medicina.
Insieme a William Kaelin Jr. e al britannico Peter J. Ratcliffe, il prof. Semenza ha vinto il Premio Nobel per le scoperte relative alle modalità con cui le cellule percepiscono e si adattano alla disponibilità di ossigeno.
Il prof. Semenza interverrà il 14 ottobre, alle ore 19:00, al “Festival della Salute” che si svolge all’Ara Pacis di Roma.
In un lungo articolo pubblicato l’8 ottobre da “La Stampa” il Premio Nobel ha spiegato le novità, le prospettive di cura e il senso delle sue scoperte.
L’ossigeno è fondamentale per la vita e per la salute, ha dichiarato Semenza: «il mio laboratorio ha lavorato trent’anni per comprendere come reagisce il corpo umano quando percepisce i cambiamenti nella saturazione dell’ossigeno».
All’inizio lo studio è stato fatto per capire in che modo il corpo umano controlla la produzione di globuli rossi che intercettano l’ossigeno dai polmoni e lo portano ad ogni cellula del corpo.
È interessante notare che si tratta di un’attività molto intensa: infatti il midollo osseo produce oltre due milioni di globuli rossi al secondo.
Quando si verifica un grave emorragia, il numero dei globuli rossi che trasportano l’ossigeno diminuisce e si riduce la quantità di ossigeno a disposizione dell’organismo.
Alcune cellule renali rilevano il calo dell’ossigeno e reagiscono producendo un ormone, l’eritropoietina (Epo), che impartisce al midollo osseo l’ordine di produrre un numero maggiore di globuli rossi.
Il sistema corporeo, in tal modo, cerca di compensare la scarsità di ossigeno: quando questo torna ad un livello sufficiente, le cellule smettono di produrre l’Epo.
Semenza e il suo staff hanno cercato di capire che cos’è che induce le cellule a produrre una maggiore quantità di Epo, ed hanno scoperto che le cellule private di ossigeno hanno livelli superiori di una proteina che i ricercatori hanno chiamato “Hif-1” (Hypoxia inducible factor 1), cioè “Fattore 1 indotto dall’ipossia”.
L’Hif-1 è una proteina che si genera nel momento in cui si verifica una mancanza di ossigeno (ipossia).
Per capire di più, Semenza e il suo staff hanno epurato l’Hif-1 da migliaia di altre proteine ed hanno accertato che esso è costituito da due sole proteine, che hanno chiamato “Hif-1 alfa” e “Hif-1 beta”.
Soprattutto la proteina “Hif-1 alfa” si trova nelle cellule quando c’è un calo della saturazione di ossigeno.
Poi si è scoperto che, non appena l’ossigeno torna a livelli sufficienti, interviene un’altra proteina, denominata “Phd”, che distrugge “Hif-1 alfa”, al fine di evitare che si verifichi un accumulo eccessivo nelle cellule che hanno livelli normali di ossigeno.
In ogni caso “Hif-1 alfa” interviene quando c’è ipossia e scompare quando i livelli di ossigeno tornano normali.
Insomma, secondo Semenza “Hif-1” «è una sorta di direttore di orchestra che dirige una sinfonia di migliaia di geni in ogni cellula».
«La natura non avrebbe potuto essere più abile di così!», ha esclamato il Professore.
Per verificare l’eventuale utilizzo della proteina “Hif-1”, il prof. Semenza e i suoi ricercatori hanno iniziato a studiare le malattie renali croniche, la cui incidenza negli USA e in Italia è significativamente alta.
Si tratta di patologie che, nel corso degli anni, riducono o danneggiano la capacità di filtrare il sangue da parte dei reni. Da qui la necessità per molte persone di praticare la dialisi.
A causa di queste patologie, i reni perdono la capacità di produrre l’Epo e questo porta all’anemia, che un tempo veniva curata con trasfusioni di sangue; ma nel 1986 è stato scoperto il gene dell’Epo per cui adesso è possibile la sua produzione in laboratorio.
L’Epo di laboratorio compensa la mancanza di produzione da parte dei reni compromessi. Si tratta quindi di un grande successo di questa biotecnologia.
Purtroppo però – ha precisato Semenza – non tutti i malati cronici reagiscono all’immissione di Epo perché, per produrre i globuli rossi, il midollo osseo ha bisogno anche di ferro, e in alcuni pazienti la capacità di portare ferro al midollo osseo è compromessa.
A questo punto è stata individuata un’altra proteina, l’Hif-2, che ha un ruolo importante nell’assorbimento del ferro da parte dell’intestino e nel recapitarlo al midollo osseo.
Procedendo con gli studi, soprattutto nel campo oncologico, si è scoperto che l’Hif accende i geni che aiutano le cellule cancerose a invadere i tessuti. E nelle sperimentazioni si è avuta l’impressione che le sostanze che bloccavano l’Hif potessero essere utili per trattare e ridurre il tumore.
Un tumore renale ereditario è stato trattato con una sostanza che blocca l’Hif-2, e il trattamento si è rivelato efficace per impedire la propagazione al di fuori dei reni.
In buona sostanza, con la scoperta dell’Hif vi sono stati due sviluppi molto importanti:
- il primo ha portato allo sviluppo di molecole che impediscono la distruzione dell’Hif per correggere l’anemia;
- il secondo è quello di mettere a punto una sostanza che blocca l’Hif-2 per una funzionale terapia antitumorale.
Attualmente nel laboratorio del prof. Semenza si stanno perfezionando molecole che possono distruggere sia Hif-1 che Hif-2 in molti tipi di tumore. Si tratta di sostanze sicure ed efficaci, ma per essere praticate con sicurezza devono essere testate in sperimentazioni cliniche più approfondite.
L’obiettivo finale di Semenza e della sua squadra di ricercatori è quello di conoscere e comprendere «il grande piano della Natura per curare al meglio le malattie e favorire enormemente la qualità della vita».
A proposito di questa considerazione finale e con riferimento al ruolo dell’ozono (O3) per regolare la produzione o la disattivazione dell’Hif-1, risulta molto interessante uno studio clinico svolto dai docenti e ricercatori di sette Facoltà di Medicina della Turchia. Lo studio è intitolato The effects of ozone therapy on caspase pathways, TNF-α, and HIF-1α in diabetic nephropathy.
Lo scopo della sperimentazione era quello di studiare l’effetto dell’ozonoterapia sulla nefropatia diabetica indotta da streptozotocina nei ratti.
I ratti sono stati divisi, in modo casuale, in sei gruppi e tutti hanno ricevuto un trattamento quotidiano di ozono per sei settimane.
In tal modo si è potuto verificare che l’ozonoterapia attenua la nefropatia diabetica attraverso la diminuzione dei geni correlati all’apoptosi (la morte programmata di una cellula) e riduce e normalizza le alterazioni provocate nei tessuti dai diversi processi patologici.
Quindi l’ozono non solo contrasta le infezioni e l’ipossia determinata dalle patologie, ma ristabilisce un equilibrio nel rapporto tra le diverse proteine che entrano in gioco.
Articolo a cura di Antonio Gaspari
Direttore Orbisphera
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