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Il colore dei denti

Il colore dei denti

Avere un sorriso smagliante è un desiderio non solo legittimo, ma anche realizzabile. In che modo? Nei casi più semplici è sufficiente l’uso costante di spazzolino e idropulsore, altrimenti è meglio rivolgersi al dentista che può avvalersi di tecniche sempre più sofisticate. I risultati estetici sono eccellenti.

Il desiderio di avere i denti “bianchi” quale sinonimo di pulizia, bellezza e salute è proprio delle persone che più hanno a cuore la propria immagine. Poiché è un desiderio legittimo, vediamo se, quando e cosa si può fare per schiarire il sorriso. C’è da dire, prima di tutto, che i denti hanno un loro colore naturale che è caratteristico per ogni singola persona, per ogni gruppo dentale (il colore de canini è sempre un poco più giallo di quello degli incisivi) e per età. È da sapere, inoltre, che alla colorazione di un dente concorre non solo lo smalto, ma anche la dentina che dello smalto è il supporto. Molti fattori possono interferire nel determinare “inestetismi”: primo fra tutti è il processo carioso che, distruggendo smalto e dentina, ne fa variare il colore che diviene nerastro. Poiché la carie inizia a distruggere prima lo smalto e poi la dentina, può accadere che l’area di smalto lesa sia poco evidente perché nascosta, per esempio in un interstizio, e il processo carioso in atto si intuisca solo dal colore della dentina che appare, in trasparenza al di sotto dello smalto, anormalmente scuro.

Altre cause che possono alterare il colore naturale dei denti sono la presenza di tartaro, la stessa placca dal tipico colore giallognolo, e una serie di pigmenti che possono aderire pervicacemente allo smalto (il catrame delle sigarette, il tannino del vino rosso, la liquirizia, il caffè, eccetera). Alle discromie da scarsa igiene possono essere associate anche quelle macchie dello smalto dovute alla presenza di un fungo che colonizza la placca dentale. L’imperativo principe è la detersione dello smalto che può essere eseguita al proprio domicilio con il comune spazzolino aiutandosi nel caso, con gli apparecchietti automatici che sono facilmente reperibili in commercio, come gli spazzolini rotanti e gli idropulsori.

Il tartaro e le pigmentazioni possono essere asportati da dentista con gli apposti strumenti manuali o meccanici: questi ultimi, sfruttando gli ultrasuoni rompono i legami fisici tra lo “sporco” e lo smalto L’eventuale presenza di piccole macchie sulla superficie dello smalto rende queste manovre più laboriose e richiede, a detersione avvenuta, un ulteriore “passaggio” per levigare il più possibile la superficie dello smalto.

Un discorso a parte merita quel sistema di “sbiancamento” che riesce ad accentuare il “bianco” dello smalto. Si chiama, in gergo, “whitening therapy” e sfrutta le proprietà del perossido di idrogeno (acqua ossigenata): in una/due sedute riesce ad avere ragione dell’aspetto “vecchio” dello smalto. Per consentire all’ossigeno nascente di penetrare negli strati più profondi dello smalto, si usano sostanze acide che ne rendono porosa la superficie e che quindi indirettamente aprono la porta a possibili contaminazioni batteriche. Sì corre il rischio, cioè, nel tentativo di sbiancare denti sani, di predisporli all’aggressione del processo carioso. Ancora una volta, la professionalità dell’operatore la vera garanzia del successo di simili tecniche.

Vediamo ora, come è possibile curare la carie: concettualmente è molto facile. Bisogna asportare tutto il tessuto malato (dello smalto e della dentina) e ricostruire il dente restituendogli l’aspetto e la funzione propria. Sull’asportazione della carie c’è poco da dire oltre ai normali strumenti meccanici, è stato proposto l’uso del laser che vaporizza letteralmente la dentina infetta. Il principale ostacolo alla diffusione di quest’ultimo apparecchio è sicuramente l’alto costo a fronte di uno scarso vantaggio reale.

La ricostruzione del dente può avvenire secondo varie tecniche con vari materiali. Il metodo più noto in assoluto è quello che comporta l’uso dell’amalgama d’argento, la “piombatura”. Si tratta di una polvere a vari componenti (il principale è l’argento) che viene mescolata con una piccola quantità di mercurio introdotta nella cavità da restaurare; segue una reazione di indurimento che fa assumere all’amalgama consistenza metallica. Il risultato è una ricostruzione ottima da un punto di vista meccanico e durevole nel tempo. Unico neo è l’aspetto nerastro che assume il dente così trattato. Recentemente alcuni studi hanno voluto mettere in evidenza la possibile tossicità di questo tipo di tecnica perché viene usato del mercurio. Probabilmente il tempo farà giustizia di questi allarmistici messaggi. Fatto è che l’immissione sul mercato di nuovi prodotti più “esotici” sta lentamente ma inesorabilmente facendo diventare obsoleto l’amalgama d’argento. Oggi si può ricostruire un dente utilizzando “paste composite” che induriscono sotto un raggio di luce bianca, oppure è possibile, dopo aver preso l’impronta del dente distrutto, chiedere al laboratorio la preparazione di un intarsio in ceramica: i risultati sono ottimi sotto tutti punti vista, eccezion fatta per l’aspetto economico.

Infine in pochi casi è possibile, per la correzione degli inestetismi dei denti frontali, ricorrere a una particolare tecnica che comporta l’asportazione dello strato superficiale anteriore dello smalto e la sostituzione con” faccette in ceramica” che, preparate in raffinati laboratori, vengono incollate al dente. Il risultato estetico è eccellente in quanto è possibile, nello stesso tempo, migliorare anche la forma, a volte non perfetta, e i rapporti dimensionali tra i singoli denti.

Articolo a cura del Dott. Tito Messina

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